Uomini, donne e verginità
Motivi anatomici, religiosi, culturali sono alla base di molte differenze nel modo di concepire la verginità maschile e femminile. La verginità nella donna è sempre stata considerata come un valore da preservare, nell’uomo qualcosa da tenere nascosto e da superare il più presto possibile.
Alle donne sono state messe cinture di castità e sono state e ancora vengono perpetrate pratiche crudeli quali l’infibulazione, che prevede oltre alle mutilazioni genitali anche la cucitura della vulva.
Le donne hanno dovuto subire riti umilianti quali il controllo delle lenzuola alla prima notte di nozze, e sono state sepolte in strutture e conventi insieme alle loro storie di violenza o trasgressione (pensiamo al film “Magdalene”, basato su una storia vera).
La verginità femminile è diventata simbolo di purezza nelle mitologia e nella religione. È stata usata come un bene, ad esempio nella cerimonia del Mitzuage, in cui le geishe pagavano il loro debito di mantenimento e formazione mettendo la loro verginità all’asta e concedendola al migliore offerente (come viene narrato egregiamente nel libro e nel film “Memorie di una geisha”). È stata ed è ancora oggetto di molte false credenze, discriminazioni e violenze.
Nelle donne la verginità è stata descritta come uno stato sia fisico che morale, cosa che non è stata fatta per l’uomo, il quale alla verginità si doveva avvicinare come fruitore e allontanare il più possibile come rappresentante.
Non essendo la verginità fisica dimostrabile nell’uomo, l’attenzione si è concentrata sull’imene femminile, membrana posta all’ingresso della vagina che si dovrebbe sfaldare al primo rapporto sessuale completo e dimostrare, attraverso segni ematici, che quell’esperienza intima è la prima del suo genere per quella ragazza o donna. Esistono, però, delle donne che nascono prive di imene o il cui imene si sfalda per fattori differenti dalla penetrazione, e primi rapporti che non causano perdite ematiche. Molte ingiustizie e crudeltà psicologiche e fisiche sono state perpetrate sulla base del fedele rispetto di una categorizzazione parziale e senza eccezioni.
Come è serio il discorso sulle prime esperienze sessuali femminili e in genere sulla loro vita sessuale, quante riflessioni drammatiche, etiche, relazionali, psicologiche ha portato e porta con sé. E la verginità maschile? Tutta un’altra storia, fatta di goliardia, derisione e falsi miti al contrario. Un uomo vergine viene spesso pensato come lo stereotipo dello “sfigato”, magari sovrappeso, ingenuo, debole, immaturo, che vive con la mamma e legge i fumetti o colleziona figurine. Perché l’uomo non può essere vergine per scelta, ma solo perché è un incapace.
Non è pensabile, nella nostra società, che un uomo attenda di “essere pronto” o di “trovare la persona giusta”. Certo, può accadere, che alla base della mancata esperienza sessuale ci sia un disagio, un problema di autostima o una difficoltà a relazionarsi. Che queste difficoltà facciano entrare la persona in un circolo vizioso che si autoalimenta: la bassa autostima, la vergogna per l’inesperienza, la paura di essere rifiutati o inadeguati porta a comportamenti che causano un aumento delle probabilità di insuccesso. Ma questo può accadere ad entrambi i sessi, come può accadere che un uomo, come una donna, decida consapevolmente, per i motivi più svariati, di non avere rapporti sessuali oppure di dare un significato relazionale e personale alla “prima volta” distante dall’idea di rito di passaggio obbligato o di “togliersi il dente”.
La verginità non è qualcosa che la donna perde o che l’uomo deve perdere. Il primo rapporto sessuale completo è un’esperienza, un cambiamento, una crescita e non una perdita. E come tutti i cambiamenti e le evoluzioni non è una fase fissa, specifica di un’età, ma un processo che ha delle tempistiche diverse e fortemente individuali. Possiamo certo stabilire qual è l’età in cui non si dovrebbe avere un’esperienza sessuale completa, ma non qual è l’età giusta per averla.
Nella sessualità, le regole che valgono per un genere dovrebbero valere anche per l’altro. Questo non significa mettere agli uomini cinture di castità o internarli se hanno rapporti fuori dal matrimonio, ma al contrario comprendere che la sessualità maschile e femminile è identica, i diritti sessuali di uomo e donna sono gli stessi, la libertà di scelta e di espressione è fondamentale per entrambi e i sì e i no hanno lo stesso peso e valore se pronunciati da un maschio o da una femmina.
Recentemente ho visto una trasmissione condotta da Franca Leosini sul caso di Avetrana, dal titolo “Storie maledette”. Nell’intervista a Sabrina Misseri, la giornalista ha più volte ribadito che Ivano, il ragazzo per il quale Sabrina aveva una “cotta”, si era comportato in modo deprecabile, in quanto aveva iniziato con lei una sera, in auto, una interazione di natura sessuale che aveva poi interrotto, gesto interpretato come crudele, irrispettoso e di forte umiliazione nei confronti della ragazza. “Quando un uomo mette in posizione di disponibilità” una donna, citando la Leosini, e poi cambia idea, non è da colpevolizzare e condannare, tanto quanto non lo è una donna che si mostra disponibile e poi all’ultimo momento cambia idea. Rispettare se stessi non è umiliare gli altri. I no nella sessualità si possono dire sempre, in qualunque momento, a qualsiasi livello di avanzamento dell’interazione intima e da parte di entrambi i sessi. Il processo di “Storie Maledette” a Ivano, per non aver “assolto fino in fondo il suo compito” è uno dei tanti esempi di diseducazione sessuale portati avanti dalla nostra cultura e dai media; visioni molto lontane dall’idea di una sessualità positiva.